Monsoon Wedding – Un matrimonio indiano parte 3
La sveglia suona che mi sembra di aver appena appoggiato la testa sul cuscino. Ci prepariamo di corsa per scendere, il nostro autista ci aspetta. Manik e Prianka ci hanno detto che verranno più tardi, alla cerimonia vera e propria. Fuori dalla shala la macchina non c’è. Aspettiamo. Con grande flemma e una decina di minuti di ritardo arriva e ci carica. Non paghi di quanto avvenuto ieri siamo già in sbattimento perché siamo in ritardo, ma, una volta arrivati, siamo solo noi. In mezzo alla sala hanno costruito, nottetempo, un altare, sistemando tutte le sedie intorno per vedere la cerimonia.
Gli inservienti stanno ancora lavorando, pulendo e sistemando, così andiamo a berci un bel chai dall’altra parte della strada. Chi è già venuto in India sa cosa significhi attraversare la strada. È una prova mista di coraggio e incoscienza, una dimostrazione di aver compreso appieno il concetto di Ishvara Pranidhana, l’applicazione del sapersi buttare nel flusso della vita. Questa mattina è più semplice perché il traffico non impazza ancora, tuttavia loro suonano i clacson, per sicurezza e per dire al mondo eccomi! Ci sono anche io!
Alle 6.30 ecco sbucare uno stravolto, ma sorridente Ramesh in borghese: camicia di maglina a maniche corte bianca, la sua inseparabile dothi bianca col profilo oro, quella da battaglia. Ci porta nel cortile dietro alla sala delle cerimonie, dove scorgiamo un drappello di donne in sari coloratissimi, affaccendate intorno a un piccolo tempio. Scorgo anche Skanda, il nipote di Ramesh e il padre, cognato di Ramesh. Stanno preparando la puja per benedire l’acqua che verrà usata nel rito del “lavaggio” dello sposo. Ci avviciniamo. Suma sta dirigendo i preparativi tra noci di cocco, banane, incensi, coppe argentate e fiori. Nel tempietto Skanda sta preparando una piccola statuta di Ganeśa, la divinità con la testa da elefante amatissima in India. A lui è associato il concetto di inizio, a lui viene dedicata la puja, il rito, prima di ogni nuovo inizio. Si dice che rimuova gli ostacoli, o meglio, che metta sulla strada gli ostacoli che in quel momento si è in grado di superare per procedere lungo il cammino intrapreso. Osservo la cura e l’amore che questo ragazzino di 13 anni mette nel preparare tutto: curcuma rossa e gialla sulla proboscide, fiorellini di profumatissimo gelsomino ai piedi e in braccio alla statuetta. Mi ricordo quando l’ho incontrato per la prima volta in occasione del mio primo viaggio in India, 8 anni fa. Aveva 5 anni e durante una gita aveva fatto un capriccio pazzesco perché desiderava una statuetta di pietra della lingam. La mamma mi aveva detto che la faceva impazzire perché era in fissa con le statue delle divinità e con i mantra. Ora è lì, con una dothi bianca e il profilo dorato come suo zio e una bellissima camicia di shantung di seta bordeaux, che officia la puja per il matrimonio di suo cugino. Momento groppo-in-gola. Ramesh ci spinge da dietro per farci salire in questo mini-tempietto e Skanda ci mette il tilak sulla fronte. Mi giro verso Max, gli sorrido e mi appoggio alla sua spalla. Lui caccia un urlo e io mi sposto improvvisamente, ma ormai il danno è fatto: la sua camicia bianca è irrimediabilmente macchiata. Può sembrare un dettaglio, ma in una giornata nella quale assistiamo a un continuo cambio di vestiti sempre più fastosi e colorati, noi siamo gli inopportuni, vestiti fuori contesto e ora lui è pure macchiato di rosso. Io sono senza tillak.
Nel frattempo la sistemazione complicatissima dei cocchi, addobbati per essere poi appoggiati sulle coppe d’argento che contengono l’acqua, è terminata. Arriva trafelata una ragazza che si è evidentemente appena svegliata, tutta incasinata e spettinata. Si sta ancora sistemando il sari. Ovviamente nessuno fa una piega per il suo ritardo, anche se fa parte del gruppo di ragazze che porteranno sulla testa le coppe fino al palco di ieri al suono del tamburo e delle trombe (sì, anche il suonatore di tromba è vestito come ieri, proprio come me). Qui in India non esiste il concetto di ritardo, credo che non esiste neanche un termine in hindi per ritardo. La sistemazione delle coppe sulle teste è complessa, perché ovviamente non puoi tenere la coppa come piace a te. La coppa ha una posizione precisa e la noce di cocco posizionata sopra tende a rotolare via. Passa un buon quarto d’ora durante il quale le ragazze stanno con le braccia alzate sopra la testa per tenere la coppa e sistemarla come si deve. Il piccolo corteo si muove verso il tappeto rosso che porta poi alla sala della cerimonia. Arrivati al tappeto rosso bisogna fare le foto. Il fotografo è sempre quello di ieri, quello pretenzioso che ti fa prendere 50 pose diverse prima di dichiararsi soddisfatto. Le povere ragazze ormai hanno dita, mani e braccia anchilosate, ma finalmente parte la fanfara. Noi ci riavviamo all’interno della sala, ancora deserta. Scopro che questa parte della cerimonia è dedicata ai parenti stretti, gli altri invitati si uniranno al momento della cerimonia vera e propria. Per ora l’attenzione è ancora concentrata sul palco dove ieri abbiamo fatto la nostra figura barbina. Nishkal è sul palco, anche lui in dothi e camicia bianca. Vaga sul palco con un codazzo di zie che lo segue. Questo sarà il leitmotiv della giornata: le zie. La cerimonia verrà officiata da ben due bramini, uno vestito di bianco, l’altro di rosso, che si occupano di due fasi differenti della cerimonia, ma le zie saranno sempre appollaiate dietro ai due poveri ragazzi, continuando a intervenire, interrompere, suggerire e addirittura correggere non solo gli sposi, ma anche i bramini. Ramesh ci spiega che sono un po’ in ritardo perché i ragazzi sono riusciti a liberarsi di tutti gli ospiti alle 3.30 di notte. Faccio un rapido calcolo: 8 ore e mezzo di fotografie. Hanno tutta la mia ammirazione. L’arrivo dell’acqua mette in moto il meccanismo. Nishkal sparisce in una stanza con fuori scritto Groom’s. Dal lato opposto del palco si trova Bride’s.
Mentre gli sposi si preparano arriva il cugino di Ramesh, un personaggio, un po’ come tanti presenti in questa famiglia. È felicissimo della nostra presenza e parla ininterrottamente, dicendo cose che fatico parecchi a capire, un po’ per l’accento, un po’ per la baraonda, un po’ perché ha due denti, ai lati opposti della bocca. Ci porta giù, nella sala-mensa per la colazione. Qui le colazioni non sono colazioni, sono dei veri e propri pasti. Mangiamo, io ho fretta di salire per vedere come procedono i preparativi, non voglio perdermi nulla. E infatti ecco che sul palco compare Nishkal col vestito da sposo. Non so come si chiami, ma sembra un sari di seta color crema con i profilo d’oro (vero) sistemato in modo da creare dei pantaloni un po’ stile maraja, a sbuffo, per poi salire, fare un giro attorno all’addome, proseguire sulla schiena, passare su una spalla e finire all’interno della fascia sull’addome. Bellissimo, sembra un guerriero uscito dal Mahabharata. Il bramino rosso lo invita a sedersi davanti a un braciere acceso dove è stata portata l’acqua trasportata in testa e i vassoi d’argento con le offerte. Dalla come si posizionano comprendo che il bramino rosso è quello che officia il rito, mentre quello bianco è deputato al controllo dell’operato dell’altro. Insieme a loro si siede anche Skanda, che non si perde un movimento e una parola. Suo papà ci ha raccontato che da grande vuole fare il sacerdote e sta imparando tutti i mantra e le procedure dei vari riti. Dai movimenti capisco che stanno preparando gli sposi per la cerimonia. Questa preparazione è separata: prima lui, poi lei, ma la procedura, apparentemente è identica. Prima viene lavata la mano e il polso sinistro con la famosa acqua, sulla mano vengono messi alcuni chicchi di riso e una minuscola medaglietta. Il palmo della mano viene appoggiato su una foglia sistemata in cima a un contenitore pieno di riso. Non ho capito bene cosa dovesse succedere o quale risultato si aspettassero, ma la zia di turno, appollaiata alle spalle di Nishkal, ha fatto ripetere l’operazione 4 volte prima di dirsi soddisfatta. Ah, in tutto questo noi siamo stati portati da Ramesh sul famoso divanetto d’oro, in mezzo ai parenti più stretti, io, suonatore di tamburo, seduta accanto alla nonna della sposa, che segue la procedura con aria spiritata. Intanto il polso di Nishkal viene avvolto da una specie di braccialetto corda, al canto dei mantra, e poi fasciato con una benda gialla. Pronto! Lui mi sembra frastornato, le zie alle sue spalle aumentano pericolosamente, il bramino rosso continua a fargli ripetere mantra in sanscrito, la gente comincia ad arrivare.
Si forma un corteo e Nishkal esce dalla sala, dopo essersi sistemato un turbante in testa, una specie di racchetta da paddel sotto un braccio, una specie di corona di velluto rosso sul palmo di una mano. Lo segue un uomo con un ombrello, sempre di velluto rosso. Dall’altra stanza spunta Varshini, con un sari verde mela e viola bellissimo. Sembra una principessa. Tocca a lei ora fasciare il polso e le zie si fanno più aggressive e competitive. La sposa è già abbastanza agitata, ma la presenza delle zie è davvero stressante. Continuano a interrompere, a far ripetere pezzi di rito e intervenire per ogni cosa. Noi, sempre appollaiati sul divanetto, siamo stati dotati anche di caffè.
Nel frattempo c’è stato un cambio di costumi anche tra i familiari più stretti. Sheetal, che aveva un sari di cotone orsa, compare con un sari di una bellezza incredibile, Skanda si è messo una giacca di velluto trapuntata lunga, bordeaux, con il collo alla coreana, Ramesh camicia e dothi di seta color crema e Suma un vestito turchese. Noi sempre uguali, io suonatore di tamburi, Max con la sua macchia sulla spalla.
Tutto è pronto per la cerimonia vera e propria, sono ormai le 9.30.
Al prossimo post l’ultima parte!
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