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I giorni passano e oggi siamo già a venerdì. Siamo in quella situazione nella quale ci sembra ieri e ci sembra un vita. Le facce della mattina sono più da “ci sembra una vita”, a dire il vero. Oggi ce la siamo presa comoda. Pratica della mattina (io come al solito mi faccio una pratica di Yin per le anche, le catene posteriori e il busto, un remise-en-forme insomma), poi resto della mattinata (2 ore) libera e nel pomeriggio giro con capatina al tempio di Ajnaneya.

Nelle due ore libere Max e io ne abbiamo approfittato per andare a prelevare e a prendere qualche essenza profumata. Chiamiamo un tuk tuk e arriva a prenderci addirittura Shivaprasad, il regalo di Shiva. Una cosa che ci ha capito in questi giorni di bighellonare indiano è il fatto che qui tutti suonano e strombazzano come dei pazzi, ma nessuno si arrabbia mai. L’energia viene sfogata attraverso il clacson; dopo la suonata sono già andati oltre, sono passati avanti, come se non avessero neanche cercato di attentare alla tua vita un secondo prima. Tutti tranne lui, il nostro Shivaprasad, che per tener fede al suo nome lancia improperi a destra e a manca mentre suona il clacson. E’ così italiano mentre guida che gli insegniamo la parola “pirla”. E lui pare soddisfatto della cosa.

 

Al tempietto di Anjaneya ci mettiamo in coda. Siamo arrivati poco prima dell’apertura per cui vediamo tutta la procedura che precede l’apertura: Il bramino fa una serie di riti e movimenti, usando anche il fuoco, suonando campanelle (a un certo punto mi chiedo se si stia alzando un passaggio a livello), poi tira una tenda in modo che nessuno possa vedere il rituale finale. Suona di nuovo la campana, il passaggio a livello si solleva di nuovo, siamo pronti. Come sempre la partecipazione alla puja è fugace. Uno a uno si sfila davanti alla statua per andare subito avanti, ma in questo tempio, invece di uscire subito, vai avanti in modo da aggirare la stanzetta dove di trova la statua, ci giri intorno e sbuchi dall’altra parte, dove si trova, acquattato come un ninja, un altro bramino che ti spara addosso una quantità d’acqua gelida addosso che sembra di fare la doccia, non la puja. 

 

Il gruppo si divide nuovamente; chi va al mercato, chi a prelevare, chi a riposare un po’. Noi torniamo a casa per prepararci: Questa sera Ramesh e Suma ci hanno invitato a casa a cena per mostrarci la loro nuova casa. E parte il film di Bollywood. La casa sembra uscita da un film: divani rosa, megaschermo, tappeti, marmi e uno stanzino adibito a altare, con tanto di porta d’ingresso in legno intarsiata con su le 8 Lakshmi (quelle che abbiamo visto anche al tempio). Ramesh ci fa vedere tutto: camera da letto, bagni, cucine e il terrazzo, dal quale si possono vedere il tempio di Chamundi da una parte e il Mysore Palace all’altra. “Siamo nel cuore di Mysore” ci dice orgoglioso.

 

La cena va tutta al contrario rispetto a coma funziona da noi: iniziamo con un caffè (con latte) mentre giriamo la casa, poi dei dolci, e lì comincio a pensare di non aver capito bene, non è una cena, ma un dopocena o una merenda. Invece no, ho capito bene. Finito il giro ci fanno sedere sul divano rosa e cominciano a portarci cibo. Tanto cibo. Buonissimo. Che noi mangiamo, ignari che quello era solo l’antipasto, che aveva tutta l’aria di essere un pasto completo, ma no, non lo era. Mentre noi mangiamo sul divano loro ci guardano. Ramesh addirittura ci film col telefonino, ma Suma lo cazzia pesantemente. Dopo essermi sfondata di antipasto arriva il piatto principale. La mia faccia deve essere stata eloquente, perché Sheetal scoppia a ridere. Io boccheggio. Devo inarcare leggermente per creare spazio nello stomaco perché non ci sta più niente.

 

Prima di andare via spuntano dal nulla dei sacchetti: un sacchetto per me, uno per Max, uno per Edo, un altro per me, un bouquet di rose rosse per me, un sacchetto pieno zeppo di frutta. Il mio grasso grosso matrimonio greco può gentilmente postarsi, qui siamo in India.

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