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Gli ultimi due giorni, sono stati intensi, molto intensi. Fisicamente de emotivamente. Abbiamo vissuto l’ultimo giorno a Mysore facendo le ultime commissioni, preparando la valigia e, ovviamente, andando a fare merenda giù da Marrabbio. L’aereo per Varanasi è alle 5.10, così mangiamo e poi, alle 21.30, arriva il nostro pullman per andare a Bangalore a prendere l’aereo. Come sempre andare via da Casa di Ramesh e Suma è triste e difficile, soprattutto difficile, per via della quantità di foto che ci tocca fare: col telefono di Nishkal, con quello di Ramesh, con la macchina di Nishkal. L’autista è visibilmente scocciato, ma tant’è.

Il viaggio è forse il peggiore di sempre. Strattoni, salti e buche, ogni tanto l’autista si ferma, non si sa bene perché o per cosa, forse per controllare strada. Ci ha chiusi, isolandosi nella sua cabina, ascoltando musica, e quando arriviamo scarica le valigie e se ne va praticamente senza salutare.

All’aeroporto di Bangalore dobbiamo salutare due elementi della crew, Anna e Francesca tornano a Milano. Baci e abbracci, con la promessa di vederci a settembre per una rimpatriata indiana e via, inizia il viaggio verso Varanasi. Durante il volo non so bene cosa sia successo, ho chiuso gli occhi e li ho riaperti mentre l’aereo trotterellava sulla pista. Guardo fuori dal finestrino: nebbia, cielo bianco. Ma… siamo a Milano in novembre?!

Usciti dall’aeroporto ci rendiamo conto che in realtà no, non siamo a Milano e quella non è nebbia, ma umidità. Usciti dal’aeroporto veniamo assaliti da una cappa pesantissima. Si fatica quasi a respirare, ci impiego un po’ ad abituarmi al calore e all’aria spessa. Il bus ci attende. IL tempo di caricare le valigie a ci dirigiamo verso l’ashram che ci ospiterà. La città di Varanasi ci mostra il suo volto dai finestrini del bus: un traffico ancora più disordinato ed isterico, i clacson sembrano moltiplicarsi, così come la gente per strada e gli ingorghi, che comunque non ci lasciano in attesa interminabile come invece accade a Milano. Il disordine indiano ha un suo ordine e una sua dinamica che fanno sì che non ci si fermi mai. 

Ad un certo punto, girato l’angolo, il delirio cessa. Niente più clacson, traffico, delirio e dopo qualche vietta che si stringe sempre più eccoci arrivati all’ashram: Sulle rive del Gange. Rimaniamo tutti senza parole. Il posto è incredibile, il Gange scorre maestoso, fa caldo, ma c’è una piacevolissima brezza che rende 35 gradi assolutamente sopportabili. Veniamo accolti da Vishnu, il nostro contatto a Varanasi, che ci mostra le nostre stanze e ci presenta i membri di questa comunità che accoglie bambini e ragazzi orfani per dar loro una possibilità di vita. Molti di loro sono stati persi dalle famiglie: L’ashram avvia una procedura per trovare i genitori; alcuni di loro ritrovano la famiglia, altri no, e rimangono qui a vivere e a studiare.

Ci raccontano che l’ashram ha aperto nel 2003, quando noi abbiamo aperto il Centrolistico. L’organizzatore chiede a Edo come si chiami e quando lui gli risponde rimane a bocca aperta. “Can you repeat?”. E ci racconta che Edoardo è il nome del primo allievo italiano del loro Babaji.

Il resto è tutto confusione nella mia testa, un po’ per gli orari che stiamo facendo, i ritmi che stiamo tenendo e gli spostamenti. Varanasi è una baraonda. Domani vi racconto tutto, adesso dormo, che domani mattina alle 5.30 abbiamo seva yoga.

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